IL DNA ANTICO

DNA Antico, IL DNA ANTICO

In ogni cellula ed in alcune tipologie di virus, il patrimonio genetico è rappresentato dal DNA o acido desossiribonucleico.

Possiamo immaginare tale molecola come una lunga e complessa scala a pioli, i cui binari sono costituiti da piccole unità dette nucleotidi. Ogni nucleotide è formato da una base azotata, uno zucchero (desossiribosio) ed un gruppo fosfato. Le basi azotate che entrano in gioco, suddivisibili tra purine e pirimidine, sono 4: adenina (A), guanina (G), citosina (C), timina (T).

I nucleotidi dunque, legandosi l’un l’altro attraverso il gruppo fosfato, formeranno i montanti della scala a pioli. I pioli sono invece costituiti dai legami ad idrogeno tra le basi azotate secondo un ordine di complementarietà ben definito: A si lega con T, C con G. La lunga successione nucleotidica si avvolgerà poi su se stessa dando origine alla caratteristica doppia elica, come illustrato in Fig.1.

DNA Antico, IL DNA ANTICO

Le estremità di un filamento di DNA sono denominate 3′ e 5′. Nella formazione dei montanti, i due filamenti si dispongono secondo un preciso senso di orientamento: sono antiparalleli. In altre parole, il senso di uno è opposto a quello dell’altro. Per tale ragione vengono denominati 3’5′ e 5’3′.

Ad ogni modo, in questo complesso alfabeto a 4 lettere si custodiscono tutte le informazioni genetiche necessarie a costruire e far funzionare un organismo. Si definisce così un gene come la porzione di DNA che detta la ricetta per la formazione delle proteine, reali effettrici delle funzioni biologiche e dei caratteri fenotipici degli individui.

Tutto questo ci viene trasmesso nel tempo dai nostri antenati.

Possiamo estrarre il DNA da molteplici reperti archeologici quali denti, ossa, capelli, tessuti mummificati, vegetali e coproliti. Tale materiale genetico prende il nome di DNA antico o, meglio, degradato.

Attraverso le analisi genetiche di campioni antichi è dunque possibile ricostruire la storia degli organismi esaminati e rispondere a domande ancora aperte.

Sfortunatamente però non è così semplice.

Con la morte dell’organismo infatti, tutte le molecole organiche, DNA compreso, subiscono un processo di degradazione che va sotto il nome di diagenesi.

Il primo processo diagenetico che si innesca è lo switch degli enzimi vitali in enzimi litici, una sorta di autodistruzione dell’organismo.

Inoltre anche il pH, la temperatura ed il mezzo di conservazione del reperto giocano un ruolo estremamente importante. E’ stato dimostrato che ambienti acidi, basici, umidi, ricchi di microrganismi e particolarmente caldi tendono a promuovere la frammentazione del DNA. La lunga scala a pioli diviene dunque instabile e si disgrega in frammenti sempre più piccoli finché non è più possibile capirne l’ordine e le informazioni che contiene. Per lo stesso motivo dunque, più un reperto è antico, più sarà sottoposto a diagenesi e più il suo DNA sarà frammentato ed esiguo.

A volte però, può succedere che l’ambiente giochi a nostro favore. Temperature particolarmente basse, pH neutro, luoghi anossici e/o in assenza di acqua tendono infatti a dare una buona protezione alla degradazione nel tempo. Inoltre, gli sviluppi recenti della biologia molecolare consentono di analizzare al meglio questo messaggio proveniente dal passato e quindi di recuperare genomi sempre più completi ed autentici.

Il DNA antico ha così permesso non solo di far chiarezza sulla nostra evoluzione, ma anche, spesso, di riscriverla. E’ il caso di Homo Neanderthalensis. Fino a pochi anni fa questo antico ominide era considerato il nostro lontano progenitore, ma ad oggi possiamo dire che siamo di fatto due specie distinte e coesistenti del tardo Pleistocene. In altre parole, i Neanderthal non sono altro che i nostri lontani cugini. Isolando ed analizzando alcuni geni neanderthaliani è stato anche possibile dare loro un volto ed una cultura. Sappiamo infatti che avevano la pelle chiara, i capelli rossi e, con tutta probabilità, un ancestrale linguaggio articolato condiviso con i primi Sapiens.

Tutto ciò che siamo è scritto dunque nel nostro DNA, tramandato di millennio in millennio, di migrazione in migrazione, dai nostri avi. La nostra storia è quindi “solamente” in attesa di essere letta.

Bibliografia

– Caramelli D., Lari M., 2004 “Il DNA antico. Metodi di analisi e applicazioni” Angelo Pontecorboli editore, Firenze.

Cooper A., Rambaut A., Macaulay V., Willerslev E., Hansen A.J., Stringer C., 2001 : “Human Origins and Ancient Human DNA”. Science, 292.

Fu Q., Mittnik A., Johnson P. L., Bos K., Lari M., Bollongino R., Sun C., Giemsch L., Schmitz R., Burger J., Ronchitelli A. M., Martini F., Cremonesi R. G., Svoboda J., Bauer P., Caramelli D., Castellano S., Reich D., Paabo S., Krause J. :“A revised timescale for human evolution based on ancient mitochondrial genomes”. Curr Biol. 2013 Apr 8;23(7):553-9.

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