Giù in profondità: gli abissi

oceani, Giù in profondità: gli abissi

Gli oceani costituiscono l’ambiente più vasto della Terra, coprendo il 71% della superficie terrestre. La più profonda depressione oceanica si trova a circa 11 km di profondità nella fossa delle Marianne, situata nell’oceano Pacifico tra Giappone, Filippine e Nuova Guinea.
Questa rappresenta di certo un punto estremo, ma già dai 1000 metri di profondità possiamo riconoscere caratteristiche chimico-fisiche che rendono questi ambienti unici.
Immaginiamo di scendere con un sommergibile molto tecnologico e di osservare, man mano che si scende, come cambia l’ambiente acquatico. Innanzitutto dobbiamo preoccuparci che il nostro sommergibile sia dotato di una luce propria, perché i raggi solari diventano sempre più deboli, fino a scomparire del tutto e l’unica luce che si può osservare è quella prodotta dagli organismi, detti bioluminescenti. La bioluminescenza è infatti un processo che permette la produzione di luce grazie alla presenza di due sostanze: luciferina e luciferasi. Nonostante ci siano ancora oggi pareri contrastanti, si può supporre che l’emissione di luce abbia una funzione con significato adattativo. Permette agli organismi di vedere l’ambiente che li circonda, ma anche di riconoscere i membri della stessa specie (molto importante a scopo riproduttivo). In alcuni crostacei e cefalopodi, invece, ha lo scopo di disorientare il predatore con un meccanismo simile a quello della seppia quando scarica il suo inchiostro. La luce, ad esempio se in prossimità della bocca, può anche attrarre le prede che possono così essere velocemente ingoiate.
Inoltre, la luminescenza, come quella di alcuni cefalopodi o teleostei, può anche essere dovuta alla presenza di batteri simbionti, ovvero organismi che vivono obbligatoriamente a stretto contatto (a volte anche uno dentro l’altro).
Associata alla luminescenza c’è senza dubbio la vista. Le specie luminescenti per poter osservare ciò che le circonda, per i motivi che abbiamo appena visto, sono dotate di occhi larghi e telescopici con caratteristiche peculiari che derivano dall’adattamento della vista all’ambiente acquatico. In contrapposizione ad essi, vi sono anche animali totalmente privi di occhi o comunque di dimensioni molto ridotte, come alcuni crostacei o alcuni pesci pelagici.
Tornando al nostro sommergibile, ci sono alcune caratteristiche delle acque che non è possibile osservare ad occhio nudo, ma con la giusta strumentazione ci potremmo accorgere ad esempio che la temperatura, man mano che si scende, tende anch’essa a diminuire fino a raggiungere i 2-5°C. Queste variazioni sono dovute alle diverse aree geografiche, ad esempio ai poli si arriva anche a 0°C. Anche i livelli di salinità rimangono costanti in profondità e non differiscono molto da quelli degli strati intermedi (34-35‰). Differisce invece, dagli strati più superficiali, il tenore di ossigeno. All’incirca ad una profondità di 1000 metri, si trova quello che viene definito lo strato minimo di ossigeno, uno strato, appunto, dove i valori di ossigeno arrivano anche a 0.5 mL/L. A profondità maggiori, scoperte relativamente recenti hanno dimostrato che l’ossigeno non è un fattore limitante, al contrario di quanto si potrebbe immaginare. Per comprendere bene questo concetto possiamo pensare a come arriva l’ossigeno al mare. L’ossigeno disciolto, infatti, penetra negli oceani tramite due vie: dall’atmosfera e dalla fotosintesi. Abbiamo visto che in profondità non c’è luce tale da permettere l’attività fotosintetica degli organismi autotrofi, non bisogna dimenticare però l’importanza della circolazione delle masse d’acqua che determina, tra le altre cose, uno sprofondamento delle masse superficiali ricche di ossigeno, appunto. L’ossigeno che discende in profondità tenderà a diminuire in quanto consumato dagli organismi che abitano i vari strati intermedi, e solo una piccola parte dell’ossigeno disciolto riuscirà ad arrivare sul fondo, dove comunque la densità degli organismi non è elevata e di conseguenza neanche la quantità di ossigeno necessario alla loro sopravvivenza dovrà essere elevata.
Negli abissi oceanici, per un predatore, non è così semplice incontrare la propria preda ed è per questo che molti pesci hanno sviluppato bocche e stomaci molto grandi che gli consentono di ingerire anche prede di grandi dimensioni, addirittura più grandi del predatore stesso. Al contrario dell’ossigeno, possiamo infatti dire che il cibo è un fattore limitante e la sua quantità decresce con l’aumentare della profondità, ma anche allontanandoci dalle aree continentali.
Le nuove tecnologie ci hanno permesso di accrescere le nostre conoscenze su questi ambienti, ma c’è ancora molto da scoprire su questo mondo sommerso per arrivare a conoscerlo sempre più… in profondità!

Bibliografia:

Poli A. e Fabbri E. Fisiologia degli animali marini. Edises

Cognetti G., Sarà M. e Magazzù G. Biologia marina. Calderini

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