Alimentazione ed emicrania

cefalea, Alimentazione ed emicrania

La cefalea, definita come un dolore percepito in qualsiasi area della testa o del collo, è una delle patologie che più frequentemente  colpiscono il sistema nervoso e spesso può diventare invalidante per la vita lavorativa e sociale di chi ne soffre in modo cronico.

Le cefalee sono state classificate nel 1988 dall’International Headache Society (IHS) e, in breve, possono essere suddivise in cefalee primarie o secondarie.  Nel primo caso la cefalea sarà essa stessa la patologia, saranno quindi assenti patologie più gravi alla base del dolore percepito.  Nel caso in cui la cefalea sia causata da una patologia sottostante (infezione, trauma cranico, emorragia cranica o tumore) sarà definita secondaria.

Rivolgendo l’attenzione alle cefalee primarie è utile sottolineare che una delle forme più frequenti di cefalea di tipo primario è l’emicrania. Il dolore da emicrania è molto tipico: colpisce una sola metà della testa ed è un dolore di tipo pulsante spesso  accompagnato da nausea, fotofobia (senso di fastidio provocato dalla luce) e fonofobia (fastidio provocato dai suoni). Le cause scatenanti sono molteplici e non del tutto chiare, è stato però possibile identificare una serie di fattori ambientali in grado di indurre attacchi di emicrania in pazienti affetti da questa patologia.

Tra i fattori scatenanti più  riconosciuti dai pazienti l’alimentazione sembra esercitare un peso notevole in alcuni sottotipi di emicrania per i quali un’attenta anamnesi alimentare e un intervento nutrizionale potrebbero essere molto utili per ridurre la frequenza di attacchi emicranici e di conseguenza favorire una migliore qualità della vita e la riduzione dei farmaci anti-dolorifici e anti-emicranici assunti per contrastare il dolore.

Entrando nello specifico, in diversi studi clinici (condotti su pazienti), è stato possibile osservare l’esistenza di una sensibilità nei confronti di determinati alimenti che sembrerebbero in grado di indurre attacchi emicranici, tra questi i principali ‘incriminati’ sono: il glutammato monosodico (utilizzato come insaporitore in molti alimenti confezionati), il caffè, il cioccolato, gli alimenti molto ricchi in istamina come alcuni pesci e alcune tipologie di dolcificanti artificiali, tra cui l’aspartame e la saccarina. Ovviamente non sarà necessario eliminare a priori gli alimenti sopra elencati, ma sarà cura dello specialista valutare se e quali alimenti eliminare temporaneamente dall’alimentazione.

Altri studi più promettenti hanno invece valutato l’eventuale possibilità di intervenire con veri e propri protocolli dietetici per ottenere una riduzione della frequenza degli attacchi emicranici.

I protocolli alimentari più interessanti fino ad ora presi in considerazione sono stati:

  • dieta ‘anti-infiammatoria’ caratterizzata  da un’elevata assunzione di acidi grassi omega 3 (contenuti in pesci grassi, semi di lino, noci di macadamia) a discapito di un minore consumo di acidi grassi omega 6 (presenti negli oli vegetali e nella frutta a guscio). Considerando il ruolo centrale degli omega 3 nella sintesi di molecole ad azione anti-infiammatoria e degli omega 6 per la produzione di molecole favorenti l’infiammazione uno sbilanciamento della dieta a favore dei primi potrebbe ridurre l’infiammazione neurogenica spesso coinvolta nello sviluppo dell’emicrania. In un singolo studio è stata osservata la riduzione del numero di giorni con emicrania nei pazienti sottoposti ad un’alimentazione povera di omega 6 e ricca in omega 3. Saranno necessarie quindi altre valutazioni per valutare la reale efficacia di questo intervento nutrizionale.
  •  dieta chetogenica, ovvero riduzione dei carboidrati assunti con l’alimentazione al fine di ottenere la produzione di corpi chetonici a partire dai grassi assunti con l’alimentazione oppure dai grassi di deposito dell’organismo.  I corpi chetonici sono un’ottima fonte di energia per le cellule cerebrali  e, in particolare il beta idrossibutirrato, favorisce una riduzione dello stress ossidativo a livello cerebrale. Gli studi a supporto di una reale efficacia della dieta chetogenica nel trattamento di pazienti emicranici sono numerosi. Ad esempio, in uno studio condotto da Di Lorenzo et al.,  96 pazienti emicranici che avevano necessità di perdere peso sono stati sottoposti in modo casuale ad una dieta ipocalorica standard o ad una dieta chetogenica. Nei pazienti sottoposti alla dieta chetogenica (n=45) è stata prescritta una dieta chetogenica rigorosa seguita da un graduale reinserimento dei carboidrati nei 5 mesi successivi. E’ stata osservata una riduzione ≥ al 75% della frequenza degli attacchi, nel numero di giorni con emicrania e nella quantità di farmaci assunti già a partire dal primo mese di dieta chetogenica. L’andamento degli attacchi emicranici ha subito un lieve peggioramento nei successivi mesi di reintroduzione dei carboidrati, nonostante il peso corporeo continuasse a diminuire. Nel gruppo trattato con la dieta ipocalorica standard i primi miglioramenti sono stati invece osservati a partire dal terzo mese. I risultati descritti supportano il fatto che non sia la semplice perdita di peso a definire un immediato miglioramento dello stato emicranico, ma che l’effetto positivo sia indotto dalla produzione di corpi chetonici.

Dal punto di vista generale diventa comunque fondamentale seguire una dieta che sia il più possibile completa e bilanciata dal punto di vista nutrizionale. Anche  il mantenimento di una corretta idratazione è da non sottovalutare per il controllo degli attacchi di emicrania, infatti uno stato di disidratazione potrebbe scatenare attacchi emicranici.  Allo stesso modo è importante evitare di saltare i pasti, il digiuno può indurre emicrania in una percentuale molto alta di pazienti, sarà quindi necessario assumere 5 pasti al giorno per evitare stati ipoglicemici che potrebbero  alterare l’omeostasi cerebrale.

 

Ricordo che l’articolo è puramente divulgativo e prima di intraprendere qualsiasi approccio nutrizionale sarà necessario rivolgersi ad uno specialista in nutrizione.

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