Reflusso e oltre: cosa (non) sappiamo davvero sugli inibitori di pompa protonica

Reflusso e oltre: cosa (non) sappiamo davvero sugli inibitori di pompa protonica, Reflusso e oltre: cosa (non) sappiamo davvero sugli inibitori di pompa protonica

Sono tra i principi attivi più prescritti al mondo. Gli inibitori di pompa protonica (IPP) hanno rappresentato una svolta nella terapia delle malattie correlate all’acidità, come la malattia da reflusso gastroesofageo, l’ulcera peptica, l’infezione da Helicobacter pylori e anche come protezione durante l’assunzione di farmaci gastrolesivi, come gli antinfiammatori non steroidei.1

Appartengono a questa classe di farmaci: pantoprazolo; lansoprazolo; omeprazolo; esomeprazolo; e rabeprazolo. Queste molecole, dopo l’assorbimento intestinale, presentano un’emivita plasmatica relativamente breve (1-2 ore); tuttavia, la lunga durata d’azione è legata al peculiare meccanismo d’azione, che consiste nel blocco irreversibile dell’enzima H+/K+ ATPasi (meglio noto come pompa protonica), via finale della produzione dell’acido cloridrico da parte della cellula parietale gastrica. Essendo basi deboli e lipofile, attraversano la membrana della cellula ed entrano nei canalicoli acidi. In questo ambiente vengono protonate e si legano covalentemente con il gruppo sulfidrilico della cisteina presente nella pompa protonica, inattivandola in maniera irreversibile. Per ripristinare la secrezione acida, la cellula parietale gastrica può produrre nuove pompe protoniche o attivare quelle inattive.2

Sebbene gli IPP siano generalmente considerati sicuri ai fini terapeutici, sono stati segnalati diversi effetti indesiderati. Poiché la loro azione riduce l’acidità gastrica necessaria per promuovere la digestione del cibo, questo meccanismo, se da un lato allevia i sintomi del reflusso, dall’altro può alterare l’equilibrio digestivo e intestinale. Il problema si manifesta soprattutto quando la terapia viene protratta per tanto tempo, in assenza di una reale necessità clinica.

Studi recenti sul microbiota intestinale, hanno evidenziato quadri clinici caratterizzati da reflusso associato a sintomi come pizzicore in gola, tosse, tachicardia, disfagia, raucedine e lingua patinosa, sapore metallico in bocca e alitosi che suggerirebbero la presenza di una malattia da reflusso gastroesofageo. In realtà, questi sintomi, potrebbero derivare da un’eccessiva proliferazione dei batteri nell’intestino tenue, condizione nota come sindrome da sovracrescita batterica intestinale (SIBO). Una delle cause più frequenti della SIBO è proprio il consumo prolungato e continuativo degli IPP, perché è il basso valore di pH nello stomaco che favorisce questa patologia. Questo circolo vizioso può portare a errori diagnostici e terapeutici.3

Un altro effetto potenzialmente grave riguarda la demenza. Infatti, indipendentemente dall’inizio del trattamento, l’uso degli IPP è stato associato a un aumento del tasso di demenza prima dei 90 anni. Uno studio recente, ha dimostrato che gli IPP inibiscono in modo potente e selettivo l’enzima colina acetiltransferasi, responsabile della biosintesi del neurotrasmettitore acetilcolina, bloccando così la trasmissione nervosa. Inoltre, queste molecole, attraversano la barriera ematoencefalica e possono causare effetti avversi neurologici come emicrania, neuropatie periferiche e compromissione dell’udito, della vista e della memoria. È stato osservato che, nei topi, queste molecole aumentano i livelli di beta-amiloide nel cervello, proteina coinvolta nella patogenesi del morbo di Alzheimer. Tuttavia, non è ancora chiaro se questi risultati siano traslabili anche all’uomo.4

Un ulteriore evento avverso legato all’uso prolungato degli IPP potrebbe essere un aumento del rischio del cancro allo stomaco. Le evidenze disponibili suggeriscono che l’uso per periodi superiori ai tre mesi sia più fortemente associato al cancro rispetto all’uso a breve termine e che sia presente un’associazione dose-dipendente. I meccanismi che portano a questa associazione rimangono sconosciuti, ma tra le ipotesi figurano: alterazioni del microbiota intestinale; ipergastrinemia; malassorbimento di vitamine e minerali; proliferazione di cellule enterocromaffino-simili; e interazioni aspecifiche con bersagli proteici coinvolti nella cancerogenesi.5

Recenti studi hanno collegato l’uso degli IPP a un aumento del rischio di patologie ossee. Nello specifico, studi osservazionali, hanno indicato un aumento del rischio di fratture, in particolare di quelle vertebrali, mentre studi di meta-analisi hanno confermato un’associazione tra l’uso di questi farmaci e le fratture dell’anca con un effetto dose-dipendente. Più recentemente, è stata segnalata un’interferenza con il metabolismo del calcio, del fosforo e del magnesio che può richiedere la sospensione della terapia.6

Risulta evidente che siano necessari ulteriori studi per comprendere appieno i meccanismi patogenetici e i potenziali rischi a lungo termine legati all’uso degli IPP. Cresce, inoltre, la preoccupazione per l’abuso di questi farmaci nella popolazione. In molti casi, le prescrizioni vengono mantenute oltre le raccomandazioni ufficiali, e gli IPP vengono frequentemente utilizzati in modo inappropriato anche in pazienti non a rischio.

Fonti:

1https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1297319X24000253?via%3Dihub#preview-section-references

2www.simg.it/Riviste/rivista_simg/2002/04-05_2002/7.pdf

3https://www.farmacista33.it/farmaci/30847/inibitori-pompa-protonica-uso-eccessivo-e-rischi-per-il-microbiota-intestinale.html

4https://alz-journals.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/alz.13477

5https://www.mdpi.com/2077-0383/13/7/1970

6https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1297319X24000253?via%3Dihub

Ringraziamenti:

https://www.freepik.com/free-photo/abstract-anatomy-design-stomach_47777917.htm#fromView=search&page=1&position=27&uuid=9325620c-49c4-49c1-b829-9a805685b533&query=gerd

Chiara Neri

Sono laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche presso l'Università degli studi di Firenze e, da aprile 2023, sono iscritta al Master di secondo livello in Divulgazione Scientifica dell'Università degli studi di Siena. Dal 2018 lavoro come Farmacista Collaboratore presso le Farmacie Comunali Fiorentine AFAM. In questi anni ho maturato esperienze molto importanti per questo tipo di mestiere, in particolare: ascolto attivo del cliente e consiglio mirato di farmaci Sop/Otc, dispositivi medici o integratori alimentari; medicina narrativa; attività di supporto al cliente in autoanalisi e in telemedicina; formulazione, allestimento e controllo di Preparazioni Galeniche magistrali e officinali.

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