La chiamano la regina delle mele. Nonostante il suo aspetto minuto, la Mela Annurca (o melannurca) si rivela essere benefica per moltissimi aspetti della nostra salute.
Se è vero che solo negli ultimi anni le è stato conferito il marchio IGP, i campani la conoscono bene da tempo immemore: è raffigurata in dipinti degli scavi di Ercolano! Originaria di Pozzuoli, mitologico ingresso degli Inferi, fu originariamente chiamata Mala Orcula, in quanto prodotta nei pressi dell’Orco; nei secoli, tale appellativo ha subito vari mutamenti sino all’attuale Mela Annurca.
Raccolta ancora acerba, viene adagiata su sostegni di paglia, i cosiddetti melai, dove mani pazienti la rigirano fino al raggiungimento del suo colore caratteristico.
Succosa e croccante, è apprezzata da tutti anche per le sue proprietà diuretiche ed ipocolesterolemizzanti. Tuttavia, negli ultimi anni, i ricercatori stanno approfondendo un’altra eccezionale qualità che le appartiene; infatti, è ricca di polifenoli utili per contrastare la calvizie.
Il 50% della popolazione mondiale è interessato dal problema del diradamento del cuoio capelluto, per il quale la scienza è da tempo alla ricerca di una soluzione. In passato, sono stati proposti dei farmaci, ai quali, però, si associavano effetti collaterali. Pertanto, ci si è concentrati sulla ricerca di sostanze naturali che potessero essere molto più efficaci e sicure.
I fari dei laboratori di ricerca sono stati puntati sui polifenoli, noti antiossidanti; in particolare, grossa attenzione è stata data alla procianidina B2, inizialmente estratta dai semi d’uva. Tale sostanza è risultata essere molto abbondante nelle mele e, tra tutte le varietà, quella che ne vanta il maggior contenuto è proprio la Mela Annurca.
Un recente studio ha sperimentato gli effetti dell’utilizzo di estratti di procianidina B2 prima in vitro, su cellule del cuoi capelluto, e poi in vivo, attraverso la somministrazione orale di capsule contenenti la sostanze in esame.
Dagli esperimenti in vitro è stato rilevato nelle cellule un aumento della concentrazione di cheratina, la proteina costituente il capello, mentre da quelli in vivo è scaturito un aumento del numero di capelli e del loro peso, nonché del loro contenuto in cheratina, dopo un periodo di due mesi.
Ma come fa la procianidina B2 a dare questi risultati? Ad oggi, non sappiamo dare una risposta precisa a tale domanda. Da studi condotti sui topi, sembrerebbe che la molecola polifenolica sia in grado di inibire molte reazioni, tra le quali importantissima è l’ossidazione degli amminoacidi che, in tal modo, possono essere risparmiati per la sintesi della catena proteica della cheratina.
C’è ancora tanto da approfondire e molti punti vanno chiariti. Certo, gli studi citati sono stati eseguiti attraverso l’impiego di estratti concentrati ed adeguatamente formulati, ma resta pur sempre vero che, alla luce di queste notizie, mangiare una Mela Annurca potrebbe avere degli effetti benefici contro il diradamento dei capelli, anche in via preventiva.
Da oggi, la regina delle mele ha un’altra pietra preziosa da mettere sulla sua corona!
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
La mela domestica (Malus) è una delle più importanti colture di frutta in tutto il mondo. Le Crabapples, note anche come mele selvatiche, appartengono al genere Malus (famiglia delle Rosacee ) e sono attualmente utilizzate come una delle più importanti fonti di semi con una maggiore concentrazione di tutti e quattro gli omologhi del tocoferolo ( α, β, γ e δ) e come fonte di sostanze antiossidanti idrofile per l’industria alimentare e cosmetica. Le mele selvatiche vengono utilizzate nella preparazione di gelatine, marmellate, bevande e vini.
Secondo FAOSTAT (2018), la produzione mondiale di mele negli ultimi cinque decenni è aumentata del 424% da 17,0 milioni di tonnellate nel 1961 a 89,3 milioni di tonnellate nel 2016. Le nazioni produttrici principali includono Cina, USA , Polonia, Turchia, Iran, Italia, Russia, Uzbekistan e Ucraina. Ci sono centinaia di cultivar di mele, ma solo cinque attualmente dominano la produzione mondiale: Fuji, Golden Delicious, Delicious, Granny Smith e Gala. Attualmente, le mele vengono trasformate in molti prodotti alimentari: succo di mela, salsa di mele, fette (essiccate, congelate e in scatola) e sidro di mela. Alcuni studi hanno evidenziato che estratti ottenuti dalla polpa o dai semi di frutti di mela selvatica dell’Himalaya ( M. baccata ) non solo contenevano moderate concentrazioni di polifenoli, ma anche molecole di acidi grassi come acido palmitico, etil palmitato e linoleina, che sono ben noti per usi medicinali. Altri studi hanno documentato invece che i semi di mela recuperati dalla mela selvatica sono una fonte promettente di oli, che contengono anche fitosteroli, principalmente il β-sitosterolo (uno tra i fitosteroli più comuni presenti nella dieta umana insieme ad campesterolo ed allo stigmasterolo).
L’aumento della produzione di mele e la crescente domanda di prodotti alimentari derivati da piante hanno però portato a un drastico aumento dei rifiuti. Il settore di trasformazione alimentare contribuisce maggiormente ai rifiuti alimentari: nel 2012, si stima che siano 17 milioni di tonnellate o il 19% di un totale di 87,6 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari generati nell’UE-28, sulla base dei dati forniti da Fusions UE. Nella produzione su larga scala di succo di mela, il 75% della mela viene utilizzato per il succo, mentre il restante 25% viene scartato come rifiuto o utilizzato in maniera inefficace. Questi sottoprodotti possono invece essere trasformati e ulteriormente incorporati come ingredienti nella produzione di prodotti alimentari funzionali di alto valore (barrette di cereali, biscotti, muffin, pane e prodotti a base di latte fermentato) con molti effetti fisiologici e biochimici.
L’analisi chimica degli oli di sansa utilizzando la cromatografia gas-massa spettrometria (GC / MS) e la cromatografia a fase inversa liquida accoppiata a rivelatori a fluorescenza (RP-HPLC / FLD) ha portato all’identificazione e alla quantificazione di 56 singoli composti lipofili tra cui acidi grassi insaturi, polinsaturi e saturi, nonché fitosteroli e quattro omologhi del tocoferolo. Gli oli recuperati dai sottoprodotti di Malus spp. (in particolare il cv “Ola”) sono ricchi di acidi grassi come linolenico (57,8%), α-linolenico (54,3%) e oleico (25,5%). Nell’olio di mela è stata stabilita una quantità significativamente maggiore di δ-tocoferolo. Dunque si pensa che, un utilizzo mirato delle vinacce di mele faciliterà la gestione di tonnellate di sottoprodotti e favorirà l’ambiente e l’industria.
Bibliografia:
Valorization of Wild Apple (Malus spp.) By-Products as a Source of Essential Fatty Acids, Tocopherols and Phytosterols with Antimicrobial Activity.
Radenkovs V1, Kviesis J2, Juhnevica-Radenkova K3, Valdovska A4,5, Püssa T6, Klavins M7, Drudze I8. (2018)
Per molti anni si è pensato che la funzione del grande intestino (intestino crasso), fosse semplicemente limitata al riassorbimento di acqua e alla completa rimozione di composti digeriti ma non assorbibili; ignorando completamente la presenza del Microbiota (l’insieme dei microrganismi intestinali) in esso contenuto. Oggi invece, la scienza ha affermato con certezza che quest’ultimo gioca un ruolo cruciale e protettivo, nei confronti dell’uomo. Ma affinché il Microbiota possa avere un effetto positivo sulla salute, la sua composizione deve essere stabile, e poiché quest’ultima è molto influenzata sia dalla quantità che dalla qualità dei carboidrati ingeriti, (che sono la principale fonte energetica dei microrganismi) è assolutamente probabile che alcune diete selettive o difettose per alcuni nutrienti, possano causare la distruzione del delicato equilibrio che c’è tra l’ospite e il Microbiota [1]. Per esempio la dieta gluten-free, necessaria per coloro che soffrono di celiachia (intolleranza al glutine) è in grado di causare una profonda modificazione della composizione microbica, che risulta prevalentemente costituita da Staphylococcus (aerobio), Clostridium e Bacteroides (anaerobi) a sfavore dei Bifidobacteria e Lactobacillus [2]. Dunque a provare che la dieta a lungo termine influenzi la composizione del Microbiota, sono stati molti studi, i quali hanno messo a confronto diverse popolazioni, ognuna con le proprie abitudini. In particolare, è emerso, attraverso il confronto della dieta Western, ricca di zuccheri e grassi, con la dieta vegetariana, ricca di fibre e polifenoli, il ruolo protettivo di questi ultimi (abbondantemente presenti nei vegetali) nei confronti del Microbiota [3] [4]. I polifenoli (l’Epicatechina gallato, l’Epigallocatechina e la Gallocatechina), composti naturali che si trovano generalmente nelle piante, e quindi nei cibi come frutta, vegetali, cereali, tè, caffè e vino hanno causato (in seguito alla loro trasformazione in composti maggiormente assorbibili) durante la sperimentazione, l’inibizione di molte specie patogene, incluse Helicobacter pylori, Staphylococcus Aureus, Pseudomonas Aeruginosa, il Virus dell’Epatite C e funghi come la Candida, portando ad affermare con certezza che i composti fenolici modificano la composizione del Microbiota, poiché alcune specie batteriche vengono inibite ed altre possono, prosperare in nicchie disponibili [5]. Dunque l’influenza dei polifenoli sulla crescita batterica, e sul metabolismo, comunque dipende dal dosaggio e dalla struttura dei polifenoli, oltre che dal tipo di microrganismo: per esempio, i batteri Gram-negativi, sono molto più resistenti ai polifenoli rispetto ai batteri Gram-positivi, i quali, attraverso diversi meccanismi di azione come la produzione di perossido di idrogeno e l’alterazione della permeabilità di membrana, vengono totalmente distrutti [6]. Il dosaggio anche sembrerebbe essere importante, infatti l’assunzione dei polifenoli, affinché possa essere efficace, non deve essere eccessiva, altrimenti potrebbe esercitare effetti avversi nel corpo umano, soprattutto in presenza di ossigeno e metalli di transizione, quando questi polifenoli agendo come pro-ossidanti, sarebbero in grado di portare al danneggiamento del DNA, lipidi e altre molecole biologiche [7].
[1] Martín R, Miquel S, Chain F, Natividad JM, Jury J, Lu J, et al. Faecalibacterium prausnitzii prevents physiological damages in a chronic low-grade inflammation murine model. BMC Microbiol. 2015;15:67. 10.1186/s12866-015-0400-1.
[2] Marteau P. Butyrate-producing bacteria as pharmabiotics for inflammatory bowel disease. Gut62, 2013;1673. 10.1136/gutjnl-2012-304240.
[3] Omori T, Ueno K, Muramatsu K, Kikuchi M, Onodera S, Shiomi N. Characterization of recombinant β-fructofuranosidase from Bifidobacterium adolescentis G1. Chem. Centr. 2010;J. 4:9. 10.1186/1752-153X-4-9.
[4] Duda-Chodak A, Tarko T, Satora P, Sroka P. Interaction of dietary coumpounds, especially polyphenols, with the intestinal microbiota: a review. Eur J Nutr. 2015;54:325-341.
[5] Hattori M, Taylor TD. The human intestinal microbiome: a new frontier of human biology DNA res 2009;16:1-12. doi:10.1093/dnares/dsn033.
[6] Verzelloni E, Pellacani C, Tagliazucchi D, Tagliaferri S, Calani L, Costa LG, et al. Antiglycative and neuroprotective activity of colon derived polyphenol catabolites. Mol Nutr Food Res 2011;55(1):S35-43.
[7] Larrosa M, Luceri C, Pagliuca C, Vivoli E, Lodovici M, Moneti G, et al. Polyphenol metabolites from colonic microbiota exert anti-inflammatory activity on different inflammation models. Mol Nutr Food res 2009;53:1044-54.
Il girasole (Helianthus annuus L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae. È di origine americana: Perù secondo alcuni studiosi, Messico secondo altri. È stata introdotta in Europa nei primi decenni del 1500 soprattutto come pianta ornamentale, assumendo, però, una certa importanza come coltura oleaginosa soltanto nel Settecento (www.agraria.org). Oggi è tra le più importanti colture oleaginose in tutto il mondo. Questa coltura è di particolare interesse per il suo adattamento alle alte temperature e ad ambienti con scarsità di acqua (Rondanini et al., 2003; Roche et al., 2004; Anastasi et al., 2010).
La pianta produce frutti secchi indeiscenti (acheni) che erroneamente vengono chiamati semi.
I sottoprodotti ottenuti dalla lavorazione del girasole vengono utilizzati principalmente come mangimi per ruminanti grazie al loro alto contenuto di proteine (Gonzalez-Perez e Vereijken, 2007). In realtà, i semi di girasole sono caratterizzati da un elevato potere antiossidante (Velioglu et al., 1998; Halvorsen et al., 2002) concentrato soprattutto nelle bucce (De Leonardis et al., 2005; Szydłowska-Czerniak et al., 2011) e determinato principalmente dai composti fenolici (Schmidt e Pokorny, 2005; De Leonardis et al., 2005).
Semi ed oli di girasole sono fonti ricche di fitosteroli (Phillips et al., 2005) e di alfa-tocoferolo (Schmidt e Pokorny, 2005). Questa ultima caratteristica preserva l’olio di semi di girasole dall’irrancidimento. Studi recenti riportano di esperimenti rivolti a modificare il profilo dei tocoferoli, ma soprattutto ad aumentarne le quantità nel seme (Velasco et al., 2010).
Il vino cotto o mosto cotto, possiamo considerarlo, quasi, un “elisir di lunga vita”. Appartiene ad un’antica tradizione dell’Isola d’Ischia, ma in generale italiana, con piccole varianti in base alle usanze tipiche del luogo di produzione. Accanto al gusto eccelso (uno degli elementi nobili dell’alimentazione), si associa il prezioso contenuto di polifenoli, potentissimi antiossidanti (ovvero i “parafulmini” delle nostre cellule) fondamentali per la nostra salute. Può essere aggiunto in qualsiasi tipo di pietanze, a crudo o a fine cottura, per arricchirle di colore, gusto ed “oro” per la nostra salute. Inoltre è ottimo anche se assunto come bevanda, diluito in acqua o come eccellente alternativa allo zucchero raffinato (potentissimo nemico della nostra salute) o concentrato. Lo consiglio, inoltre, come ideale sostituto delle salse “spazzatura” tipo quella barbecue o all’aceto balsamico commerciale. Ancora, unito ai formaggi o alla frutta (aggiungendo, magari, anche un’altra buon alleata della salute, della buona cannella) è un cocktail di piacere e, fondamentale, di gusto di qualità. Nella tradizione ischitana, in particolare foriana, non può assolutamente mancare come ingrediente “magico” nella popolare e ben conosciuta “pizza di scarola”, piatto tipico del periodo invernale / natalizio. Il segreto della sua virtù, probabilmente, risiede nel metodo di preparazione. Infatti, il mosto viene cotto a temperature bassissime e per lungo tempo. Questo processo gli dona il suo colore caratteristico, dovuto alla produzione di sostanze pigmentate brune, chiamate melanoidine (tipiche anche del colore caratteristico dei chicchi del caffè tostato, ad esempio). Si nota, infatti, in foto (vino cotto produzione familiare, uso personale) il colore fortemente scuro, il mosto di partenza era di uva bianca!! Questo metodo antico (mio padre era uno dei pochi che utilizzava fedelmente la ricetta “antica” tramandata), basato su questo tipo di cottura estremamente delicata (ma non solo), preservano la quasi totalità delle proprietà ed addirittura le potenzia. Infatti, recenti studi hanno dimostrato un aumento dell’attività antiossidante, presente nelle pietanze preparate mediante questo delicato procedimento, in sinergia con l’imbrunimento delle stesse. Dunque, anche il nostro vino cotto, presenta “virtù” maggiori rispetto al nettare di partenza. E ricorda che anche l’occhio (altro elemento nobile) vuole la sua parte. Diamo, quindi, sempre arte, colore e, naturalmente, musica a tavola ed ai nostri geni.
Bibliografia:
Manzocco et al. Review of non-enzymatic browning and antioxidant capacity in processed foods- 2016 Journal of Food Engineering Vol. 169, January 2016, Pages 44-52
Phisut, N.; Jiraporn, B. Characteristics and antioxidant activity of Maillard reaction products derived from chitosan sugar solution. International Food Research Journal . 2013, Vol. 20 Issue 3, p1077-1085. 9p.
Mattia, C.; et al. “Vino cotto” composition and antioxidant activity as affected by non enszymatic browing”. Italian Journal of Food Science. 2007, Vol. 19 Issue 4, p413-424.