Conseguenze del consumo eccessivo di sale e suggerimenti per ridurlo.

sale, Conseguenze del consumo eccessivo di sale e suggerimenti per ridurlo.

Il sodio, uno dei minerali più abbondanti nell’organismo, regola i contenuti e i flussi di acqua nelle cellule e al di fuori di esse, interviene nella regolazione  dell’equilibrio acido-base, favorisce la contrazione muscolare scheletrica e miocardica e interviene nella trasmissione dell’impulso nervoso. I meccanismi di risparmio del sodio sono centrati sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, che viene attivato da un’eccessiva riduzione di esso. Il fabbisogno quotidiano nell’adulto è di circa 600 mg, aumenta in gravidanza e nell’allattamento e soprattutto in caso di abbondante sudorazione, di protratta diarrea e di estese ustioni. La carenza di sodio è rara, data la sua grande diffusione.

La fonte principale di sodio nell’alimentazione occidentale è il sale da cucina che viene aggiunto agli alimenti per insaporirli. Gli alimenti più ricchi di sodio sono i formaggi, i salumi, gli insaccati e la maggior parte degli altri alimenti conservati. È inoltre naturalmente presente negli alimenti di origine animale (come il latte, le carni e il pesce), mentre è meno abbondante in quelli di origine vegetale. Secondo le stime della Commissione Europea, il sale presente nei cibi industriali o consumati fuori casa è più del 75 % e quello aggiunto nelle preparazioni domestiche è solo il 10 % circa.

Un consumo eccessivo di sale determina un aumento della pressione arteriosa (PA), con conseguente aumento del rischio di insorgenza di gravi patologie cardio-cerebrovascolari correlate all’ipertensione arteriosa, quali infarto del miocardio e ictus cerebrale. Inoltre, mangiare molto salato fa aumentare il desiderio di bere e se si consumano bevande zuccherate si assumono più calorie, contribuendo ad un maggior rischio di sovrappeso e obesità). Ciò non significa che bisognerebbe eliminarlo del tutto, ma consumarlo in maniera parca (meno di 6 g al giorno) nell’ambito di una dieta globalmente sana. Un grammo di sale contiene circa 0,4 grammi di sodio. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di non introdurre più di 2 grammi di sodio con la dieta giornaliera. Due grammi sodio corrispondono a circa 5 grammi di sale da cucina, che sono all’incirca quelli contenuti in un cucchiaino da tè.

Numerosi studi hanno dimostrato che l’associazione tra l’elevata assunzione di sale e la pressione sanguigna alta aumenta il rischio di malattie cardiovascolari oltre che di cancro allo stomaco, obesità, malattie renali, osteoporosi. Ad esempio in Giappone, l’incidenza dell’ictus, un risultato importante dell’ipertensione, è parecchie volte superiore rispetto agli Stati Uniti e ai paesi europei.

Diversi paesi hanno avviato programmi volti alla riduzione del sale: le industrie alimentari vengono incoraggiate a diminuire il contenuto di sale, migliorando la consapevolezza e la conoscenza del pubblico.

Nelle linee-guide dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione vengono riportati questi suggerimenti:

  • ridurre progressivamente l’uso di sale sia a tavola che in cucina, così che il palato si adatti al nuovo gusto;
  • mettere il sale e le salse salate lontano dalla tavola, per evitare che i giovani prendano l’abitudine di aggiungere sale;
  • non aggiungere sale nelle pappe dei bambini, almeno per tutto il primo anno di vita;
  • preferire al sale comune il sale arricchito con iodio (sale iodato) e usare erbe aromatiche (come basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, menta, origano, maggiorana, timo, semi di finocchio) e spezie (come pepe, peperoncino, noce moscata, zafferano, curry), aglio, cipolla, limone e aceto al posto del sale per insaporire le pietanze;
  • limitare l’uso di condimenti alternativi contenenti sodio (dado da brodo, ketchup, salsa di soia, senape, ecc.);
  • scegliere, quando sono disponibili, le linee di prodotti a basso contenuto di sale (pane senza sale, tonno in scatola a basso contenuto di sale, ecc.);
  • consumare solo saltuariamente alimenti trasformati ricchi di sale (snack salati, patatine in sacchetto, olive da tavola, alcuni salumi e formaggi);
  • scolare e sciacquare verdure e fagioli in scatola e mangiare più frutta e verdure fresche;
  • nell’attività sportiva moderata reintegrare con la semplice acqua i liquidi perduti attraverso la sudorazione;
  • controllare le etichette dei prodotti alimentari prima di acquistarli, imparando a scegliere quelli a minor contenuto di sale.

La dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), originariamente sviluppata più di vent’anni fa presso l’università di Harvard negli Stati Uniti con lo scopo principale di tenere sotto controllo l’ipertensione, accentua il consumo di frutta, verdura, latticini magri, cereali integrali, pollame, pesce e noci, mentre limita il consumo di carne rossa, dolci e bevande contenenti zucchero, il tutto associato ad una moderata attività fisica. Bilanciata e sicura sul lungo periodo, la DASH è molto meno limitante di quanto possa apparire: la DASH può essere adattata alle esigenze dei celiaci e di chi segue le prescrizioni kosher o halal. Anche i vegetariani e i vegani possono aderirvi senza problemi. La DASH obbliga a qualche attenzione ulteriore quando si va al ristorante, soprattutto per il controllo della salatura dei piatti.

Lo studio originale “DASH-Sodium” ha dimostrato che la riduzione dell’apporto di sodio per un periodo di 4 settimane abbassa la PA in adulti con pre-ipertensione o ipertensione. Questa scoperta ha confermato il ruolo della riduzione del sodio come un importante intervento sullo stile di vita. Il risultato è stato successivamente replicato in numerosi studi clinici. Tuttavia, il decorso temporale del cambiamento della PA non è noto e pertanto il tempo minimo necessario per osservare il pieno effetto della riduzione del sodio sulla PA dovrebbe essere oggetto di ricerche future.

Il più alto contenuto di potassio della dieta DASH potrebbe essere responsabile, almeno in parte, dei suoi effetti di riduzione della PA. L’eccesso di peso aggrava l’associazione tra l’elevata assunzione di sale e valori elevati di PA. Gli studi che hanno valutato gli effetti della riduzione dell’apporto di sale nella dieta confermano che negli ipertesi, la sua diminuzione, comporta mediamente una riduzione della pressione sistolica di 5 mmHg e della diastolica di 3 mmHg. Nel tentativo di attuare questi risultati, quasi ogni raccomandazione organizzativa per la gestione della PA inizia con l’educazione alimentare. Se si impiegasse l’educazione alimentare, molti pazienti ipertesi diventerebbero consapevoli del fatto che la riduzione del sale nella dieta può abbassare la PA e potenzialmente ridurre il carico di farmaci. Si ipotizza che 20 minuti di sessioni formative con nutrizionisti finalizzate allo sviluppo di piani individualizzati per la limitazione del sale, possa condurre a risultati promettenti come la riduzione dell’escrezione urinaria di sodio, il monitoraggio della pressione arteriosa (ABPM) e la pressione arteriosa clinica. Uno studio i cui partecipanti hanno visitato il loro nutrizionista cinque volte in un periodo di 12 settimane ha condotto a una modesta riduzione della PA. In ogni caso, per continuare a vedere questo beneficio, potrebbero essere necessarie delle visite di controllo (ad esempio ogni 6 mesi).

Concludendo, si può tranquillamente ridurre il rischio di ipertensione, consumando regolarmente frutta e verdura, cereali integrali, proteine da carni magre e pesce e latticini a ridotto contenuto di grassi, incoraggiando una progressiva riduzione del sodio a 2,3 g al giorno, anche fino a 1,5 g. Sarebbe opportuno dedicarsi ad un’attività fisica, ridurre il consumo di alcol e non fumare.

BIBLIOGRAFIA

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NFI – Nutrition Foundation of Italy, Alimentazione, Prevenzione & Benessere, Nel confronto tra 41 diete e modelli  alimentari, l’approccio mediterraneo rafforza il suo primato, n.1/2019.

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